Siamo tra gli anni '50 e '60 in pieno boom economico. La società SADE progetta un grande serbatoio idrico per convogliare le acque del fiume Piave, del torrente Maè e del torrente Boite. Si decide di costruire nella stretta gola dove scorre il Vajont sfruttando la conformazione naturale della vallata, a cavallo tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. La SADE promette agli abitanti della zona (che si occupano prevalentemente di agricoltura e allevamento) che quest'opera porterà lavoro e turismo nella valle. Dopo aver espropriato i terreni di coloro che abitano nel fondovalle, si procede con la costruzione della diga più alta al mondo: ben 265 metri di altezza. In tre anni la diga viene completata e, in effetti, è un vero capolavoro d'ingegneria. Tecnici e ingegneri da tutto il mondo vengono in Italia per ammirarla e studiarne i particolari.
Dopo aver riempito la diga per metà della sua altezza, nel 1960 una prima frana staccatasi dal Monte Toc colpisce la diga. I contadini che lavorano sulle pendici della montagna si accorgono dei movimenti della terra, ma si prosegue con l'invaso. Molti, tra cui la giornalista Tina Merlin, denunciano i rischi legati alla diga, ma vengono messi a tacere o addirittura denunciati.
Nei giorni precedenti al disastro si notano chiaramente i margini sempre più ampi della faglia che si sta staccando dal Monte Toc. Gli alberi sono piegati, il movimento della terra è continuo. A questo punto si prende una decisione che avrà conseguenze disastrose: lo svuotamento veloce della diga. Le acque, che prima servivano quasi 'da puntello' alla montagna, vengono rapidamente convogliate a valle privando la roccia del suo sostegno.
Alle 22:39 del 9 ottobre 1963, circa 270 milioni di metri cubi di roccia si staccano dal Monte Toc precipitando dentro alla diga alla velocità di 100 km/h e provocando di conseguenza un'onda a tre punte alta circa 250 metri.
La prima punta colpisce il paese di Casso vomitando sulle abitazioni acqua e massi, ma, fortunatamente, non provocando nessun morto. La seconda punta colpisce Erto, ma uno sperone di roccia ne smorza la potenza: nel paese non ci sono vittime, ma nelle frazioni sì. La terza punta è quella che provoca il disastro maggiore: 50 milioni di metri cubi d'acqua con un salto riescono a superare il coronamento della diga distruggendone la parte superiore e riversandosi sulla vallata sottostante. In soli 4 minuti l'onda si abbatte su Longarone e i paesi limitrofi uccidendo quasi 2000 persone e distruggendo tutto quello che trova al suo passaggio.
La velocità della frana e la sua compattezza furono i fattori principali che permisero all'onda di avere tutta questa forza. Pensate che nell'impatto venne sprigionata l'energia di due volte la bomba atomica. Dei 2000 morti registrati più di 500 non vennero mai ritrovati: si pensa che la forza dell'acqua li abbia letteralmente disintegrati.
LA TRAGEDIA DEL VAJONT: UNA STORIA LUNGA
Indagini accurate seguirono il disastro, ma solo recentemente il processo giudiziario è stato chiuso con una sentenza di omicidio plurimo con l'aggravante della premeditazione. Numerose prove hanno stabilito che non solo si poteva prevedere il disastro, ma addirittura lo si aveva già messo in conto e nonostante tutto si pensò di andare avanti con i lavori mettendo a tacere gli oppositori al progetto.
Per capire, però, la difficoltà nell'arrivare a questa sentenza pensate che solo nel 1983, vent'anni dopo il disastro, una casa editrice accettò di pubblicare il libro di Tina Merlin che denunciava le responsabilità di chi sapeva, ma aveva deciso di tacere. Come al solito, interessi economici e conoscenze hanno rallentato la giustizia.
La diga del Vajont, in effetti, rimane un capolavoro d'ingegneria che ancora oggi viene studiato da esperti provenienti da tutto il mondo. Nonostante, infatti, il volume della frana e la forza che ne è scaturita, la diga non ha ceduto: è rimasta perfettamente integra fino ad oggi ed è per questo che è possibile visitarla.
Si può visitare il coronamento della diga accompagnati da guide, spesso testimoni oculari del disastro. I volontari vi racconteranno con le lacrime agli occhi e con tanta rabbia perché questo disastro si poteva evitare. Già solo un particolare dice tanto: in dialetto friulano 'toc' significa zuppo, marcio e quindi gli abitanti della zona già sapevano che le falde del Monte Toc erano instabili e non adatte ad un'opera di quel genere.
Vengono organizzati due tipi di visita: una più breve, di circa 40 minuti, e una più lunga, di circa 2-3 ore. Per informazioni, orari e prezzi vi rimando al sito ufficiale del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane.
I MUSEI CHE RACCONTANO LA TRAGEDIA DEL VAJONT
La visita alla diga del Vajont può essere completata con la visita ai musei che raccontano la tragedia. I locali delle ex scuole elementari di Erto ospitano il Centro Visite di Erto e Casso, uno dei più importanti e completi centri di documentazione sul disastro del Vajont. Le mostre al suo interno vogliono documentare come fosse la vita nella valle prima della costruzione della diga, ma anche come i lavori ebbero un profondo impatto sulla vita degli abitanti. Si approfondisce l'intera vicenda legata alla progettazione della diga, al disastro e successivamente al processo che ne seguì e alle sue conseguenze sulla reputazione della zona anche a livello economico.
A Longarone (BL), invece, uno dei paesi più colpiti dal disastro, si può visitare il Museo del Vajont, inaugurato nel 2009. La mostra è una rassegna di fotografie e documentazioni storiche che descrivono la vicenda della diga del Vajont, dalla sua costruzione al disastro che provocò la morte improvvisa di 2000 persone. Anche in questo caso, per orari di apertura e altre informazioni pratiche vi rimando al sito della Proloco di Longarone.
Speriamo che un giorno possiate anche voi visitare la diga del Vajont. E' importante visitare luoghi come questi affinché le vittime di queste tragedie non vengano dimenticate. Naturalmente questa zona oggi è importante anche per la sua bellezza a livello naturalistico, non solo per la memoria storica. Sul sito del Parco delle Dolomiti Friulane potete raccogliere idee per una vacanza in zona e nelle sezioni Friuli Venezia Giulia e Veneto del nostro blog trovate i racconti delle nostre escursioni in queste due belle regioni.
Ci sono stata anni fa insieme ai miei genitori, ma non credo che allora si potesse visitare - o magari sì e noi non lo sapevamo. Sia mia madre che mio padre ricordano la tragedia del '63: all'epoca avevano solo dieci anni ma se ne parlò tantissimo al punto che anche se erano bambini ne rimasero colpiti. Ho visto tra l'altro anche un documentario molto ben fatto ma di cui non ricordo il nome: ripercorre quello che è successo prima della tragedia e anche i momenti della frana. Da pelle d'oca.
RispondiEliminaSì anche i miei erano ragazzini, ma se lo ricordano bene. Povera gente! Mi fa venire una rabbia quando succedono queste tragedie che potevano essere evitate!! Grazie x il tuo commento
EliminaMio padre mi parlava sempre di questa tragedia e che aveva scritto al sindaco del comune perché voleva andare a lavorare per rimetterla a posto. Il sindaco gli rispose che non era necessario che partisse dalla Sardegna.
RispondiEliminaMa dai! Che brava persona tuo papà! Grazie di aver condiviso questo ricordo!
EliminaCi credi che ci sono stata oggi?
RispondiEliminaNon mi dilungherò perché il tuo articolo è molto esaustivo, dico solo che vedere i luoghi dal vivo lascia veramente esterrefatti e non bisogna dimenticare.
Ma dai!! Che combinazione!! 😄
EliminaHo visto recentemente proprio un documentario sulla diga del Vajont, ne avevo sempre sentito ma non sapevo tutta la storia dietro, scioccante
RispondiEliminaEh si soprattutto perchè era una tragedia evitabile come spesso accade.
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