Il primo motivo che ci ha spinto a scegliere Rovigo come meta di un weekend fuori porta è stato quello di visitare la mostra multisensoriale 'Vajont l'onda della morte' organizzata dall'associazione culturale 'I luoghi dell'abbandono'. Avevamo già avuto modo di apprezzare una mostra organizzata dalla stessa associazione in merito al disastro di Chernobyl e sapevamo già che sarebbe stata anche questa volta un'esperienza toccante e coinvolgente. E infatti non siamo rimasti delusi.



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Visita della mostra 'Vajont l'onda della morte': informazioni utili


La mostra multisensoriale dedicata al Vajont è attualmente ospitata presso l'ex Ospedale Psichiatrico di Granzette in Via Chiarugi 135. In questo momento è possibile visitare, all'interno della stessa area, tre mostre organizzate dalla stessa associazione. Non sappiamo se nei prossimi mesi la mostra verrà spostata per cui vi consigliamo di visitare direttamente la pagina Facebook dell'associazione I luoghi dell'abbandono.

L'ingresso costa 5 euro e non è necessaria la prenotazione. Per gli orari vi rimando al sito ufficiale dell'associazione che ha organizzato la mostra. 

Dato che si tratta di un percorso multisensoriale dove ci si bagna e si cammina nel fango, vi consigliamo di non indossare scarpe con i tacchi e, se vi è possibile, di portare con voi stivali di gomma. Comunque, all'ingresso, vi verranno consegnati dei copriscarpe impermeabili monouso e degli stivali di gomma per visitare la mostra in tranquillità.

La mostra è suddivisa in tre sezioni che illustrano rispettivamente la costruzione della diga, il disastro e la ricostruzione. Il percorso multisensoriale è corredato da foto e filmati originali, articoli di giornale e naturalmente ricostruzioni il più realistiche possibili. Tutto è pensato per trasportare virtualmente il visitatore nei luoghi della tragedia e farlo immedesimare negli eventi che si susseguirono. In effetti, più i sensi vengono coinvolti e più si riesce a comprendere quello che effettivamente accadde quella notte del 9 ottobre 1963. 

La costruzione della diga del Vajont


La prima sala della mostra è dedicata alla costruzione della diga del Vajont, un'opera davvero strabiliante per quell'epoca. Ancora oggi risulta essere una delle dighe a volta più alte al mondo con i suoi 263 metri d'altezza. In effetti era una diga anche robusta dato che riuscì a resistere alla violenza della frana e tuttora è ancora visitabile.



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Giornali dell'epoca, come vedrete visitando la mostra, esaltavano coloro che avevano avuto il coraggio e l'abilità di progettare un'opera così maestosa. Filmati originali testimoniano l'ammirazione che da ogni parte del mondo si elevava verso un'Italia capace di opere così eccelse. 



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Durante la prima parte del percorso, come se foste all'interno del cantiere, potrete conoscere meglio coloro che ebbero un ruolo fondamentale nella progettazione della diga: il geologo Giorgio Dal Piaz e l'ingegnere Carlo Semenza a cui la diga venne dedicata. Ha dell'incredibile pensare che entrambi, il primo a seguito di un incidente stradale e il secondo a causa di un'emorragia celebrale, morirono prima che accadesse la tragedia del Vajont. Sono morti pensando di aver realizzato una grande opera... è un vero peccato che non abbiano provato la vergogna e il dolore di aver avuto una parte in questa enorme perdita di vite umane! 

Verso il fondo di questa prima sala si dà spazio a coloro che ebbero il coraggio di esprimere dubbi sulla sicurezza della diga, ma che non vennero ascoltati o furono perfino messi a tacere. Tra tutti la giornalista Tina Merlin viene ricordata per aver denunciato ripetutamente, con coraggio e caparbietà, i pericoli che la popolazione locale avrebbe corso se la diga fosse entrata effettivamente in funzione. La giornalista venne perfino denunciata e processata per aver 'diffuso notizie false e tendenziose'. Pensate che, in seguito alla tragedia, la Merlin cercò di pubblicare un libro sulla vicenda, ma trovò un editore disponibile a farlo solo nel 1983: vent'anni dopo!! 

Il disastro del Vajont: 9 ottobre 1963


A questo punto della visita arriva la parte più toccante e lo percepirete perché inizierete a camminare su rivoli d'acqua che scendono dalle scale che portano al piano superiore. Sulle scale potrete assistere, attraverso dei monitor, ad alcune scene del film 'Vajont' che descrivono il momento della tragedia. 

Alle ore 22:39 del 9 ottobre 1963 dal versante settentrionale del monte Toc si staccarono 260 milioni di metri cubi di roccia che, precipitando nel lago artificiale formato dalla diga, provocarono un'enorme ondata che investì i paesi sottostanti. Longarone, Erto e Casso vennero spazzati via in pochi minuti. I morti furono 1917. Ancora oggi questo evento è considerato il peggior esempio tra i disastri evitabili provocati dall'uomo. 


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Lungo il percorso di fango sarete aiutati ad immaginare, attraverso installazioni e manichini, la scena che probabilmente si presentò davanti ai primi soccorritori. 



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Lungo una parete potrete leggere l'elenco di tutte le persone decedute a seguito del disastro. Anche in questo caso giornali originali saranno a vostra disposizione perché possiate leggere gli articoli dedicati al tragico evento.


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Appese alle pareti potrete vedere foto dell'area colpita dal disastro e dell'opera di recupero dei corpi. Sono immagini molto toccanti che dovrebbero far riflettere su fin dove possa arrivare l'avidità umana. La cosa che fa più rabbia è che si trattò di una tragedia annunciata: molti avevano denunciato la pericolosità di costruire una diga in quella zona, ma non vennero ascoltati. Il problema è che, come spesso accade, anche in questo caso non furono i responsabili a pagare con la loro vita i propri sbagli, ma tanta povera gente e moltissimi bambini. Un terzo dei morti, infatti, aveva meno di vent'anni. Su 197 bambini che frequentavano la scuola elementare a Longarone ne rimasero solo trenta! 

Perché accadde la tragedia del Vajont? Dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, le cause furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell'opera, i quali nascosero la non idoneità dei versanti del bacino a rischio idrogeologico. I versanti della montagna non avevano le caratteristiche adatte ad essere lambite da un lago artificiale. I dirigenti lo avevano scoperto, ma coprirono con dolo i dati a loro disposizione col beneplacito di enti locali e nazionali. Tra l'altro già il fatto che il monte si chiamasse Toc, ovvero 'marcio' in dialetto, avrebbe già dovuto far capire qualcosa ai progettisti... ma per soldi e gloria si fa questo e altro purtroppo! 

La ricostruzione di Longarone


L'ultima parte della mostra 'Vajont, l'onda della morte' è dedicata alla ricostruzione dopo la tragedia. I lavori partirono lentamente, ma in circa dieci anni il 90% del paese di Longarone venne ricostruito.



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Per snellire i lavori venne emanata pochi mesi dopo la tragedia la legge speciale per il Vajont che puntava non solo alla ricostruzione di Longarone, ma a favorire lo sviluppo dell'intera provincia. Furono previsti contributi e mutui agevolati per tutti coloro che avessero ricostruito o creato imprese industriali o artigiane a Longarone e dintorni. Grazie a queste norme in quindici anni dal disastro vennero creati quindicimila posti di lavoro e all'inizio degli anni '70 gli abitanti di Longarone erano già più di quelli del 1963.

Nel corridoio che vi porterà verso l'uscita potrete leggere, affisse alle pareti, le frasi di alcuni sopravvissuti che al tempo della tragedia erano bambini. Molti di loro persero i parenti, il gli amici e i vicini di casa. Ancora oggi la tragedia del Vajont è una ferita ancora aperta. Potete leggere le interviste complete nell'articolo "Tragedia del Vajont 50 anni dopo: parlano i bambini che sopravvissero" pubblicato dal giornale online Oggi  l'8 ottobre 2013. 

Speriamo che il nostro resoconto vi abbia invogliato a visitare presto questa mostra toccante dedicata al Vajont. È importante non dimenticare questa enorme tragedia annunciata perché non si ripeta più una cosa come questa. 

Per approfondire:

4 commenti:

  1. Mi ha sempre colpito molto la storia della tragedia del Vajont e ogni volta che passo da Longarone mi vengono i brividi al pensiero di quello che poteva essere evitato prendendosi le responsabilità.. ma come abbiamo visto recentemente dalla storia non siamo proprio capaci di imparare nulla. Il percorso "fisico" della mostra è davvero bellissimo

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    1. È proprio quello che fa rabbia: era una tragedia evitabile! Che tristezza!

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  2. Lo sai che abito a neanche 20 km da Granzette e non sapevo di questa mostra? L'ho scoperto ora grazie a te. Vado subito a vedere sul sito dell'associazione se la mostra è ancora aperta.

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    1. Penso che ci sia ancora. Comunque nella stessa sede sono visitabili tre mostre multisensoriali: una dedicata al Vajont, una al disastro di Chernobyl e la terza ai 'percorsi della pazzia'. Buona visita😊

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